Nel 2025, i dibattiti sulla bioetica e sulla genetica non sono più confinati alle aule universitarie. Uno dei concetti più provocatori che emerge è quello delle “lotterie genetiche”: programmi o politiche che premiano o avvantaggiano gli individui in base alle loro caratteristiche genetiche. Con l’ascesa della medicina personalizzata e della profilazione genetica, i confini etici tra equità sanitaria, giustizia sociale e determinismo biologico diventano sempre più sfumati.
Il termine “lotteria genetica” nasce nella letteratura filosofica, in particolare nel contesto della fortuna morale. Filosofi come John Rawls e Thomas Nagel lo hanno utilizzato per descrivere le condizioni non scelte alla nascita, come la classe sociale o il patrimonio genetico. In bioetica, il concetto assume una nuova dimensione, soprattutto nell’ambito assicurativo. Si discute se sia etico variare i premi o l’accesso ai trattamenti in base alla predisposizione genetica.
Da un lato, le informazioni genetiche potrebbero aiutare a progettare sistemi sanitari più efficienti. Dall’altro, si rischia di penalizzare persone per condizioni che non hanno scelto. Paesi come il Regno Unito e la Germania hanno introdotto leggi contro la discriminazione genetica, ma rimangono zone grigie nei contratti privati e nelle assicurazioni supplementari.
Inoltre, con la genomica supportata dall’IA ormai diffusa, alcune aziende offrono incentivi basati su punteggi poligenici—indicatori della probabilità di sviluppare determinate condizioni—accendendo il dibattito etico globale.
Immagina una lotteria pubblica o privata dove chi possiede tratti genetici rari o benefici—come la resistenza all’Alzheimer o marcatori cognitivi superiori alla media—riceve premi economici. Anche se può sembrare assurdo, startup in California e Singapore nel 2025 hanno sperimentato borse di studio per chi possiede mutazioni rare, con l’obiettivo di incentivare la partecipazione alla ricerca genetica.
Nonostante la retorica scientifica, queste iniziative rischiano di creare sistemi selettivi di ricompensa biologica. Tali schemi potrebbero generare nuove classi sociali, privilegiate per la “ricchezza genetica”. Inoltre, premiare la rarità potrebbe danneggiare gli obiettivi di salute collettiva e generare esclusione.
I sostenitori affermano che ciò riflette valori meritocratici, ma i comitati etici europei, specialmente nei paesi nordici, mettono in guardia dal rischio di erodere principi di equità e dignità umana.
La discriminazione genetica non è un’ipotesi futura—è già realtà. Un rapporto del 2024 dell’Agenzia Europea di Bioetica ha rivelato che in almeno cinque paesi UE alcuni datori di lavoro utilizzano indirettamente indicatori genetici nei programmi benessere per selezionare candidati. Sebbene vietato, i controlli sono inefficaci.
Le minoranze sono le più esposte. Chi ha nel proprio profilo genetico una predisposizione a malattie mentali o dipendenze può essere escluso da opportunità di lavoro, specialmente nei settori ad alta competizione. Questo mina i diritti umani e stigmatizza sulla base di dati probabilistici.
Inoltre, i genitori più abbienti potrebbero scegliere embrioni “ottimizzati”, creando una nuova forma di privilegio basata sul genoma. La disuguaglianza genetica diventerebbe realtà, trasformando i geni in valuta sociale.
Uno degli aspetti più preoccupanti delle lotterie genetiche è l’uso dei dati. Molti partecipanti donano il proprio DNA per scopi medici, spesso ignari del riutilizzo per finalità commerciali o promozionali. La legge europea sul Genomic Data Act del 2025 cerca di rafforzare il consenso informato, ma la compliance nel settore privato è ancora incerta.
Inoltre, alcune persone non vogliono conoscere i propri rischi genetici. Il diritto “a non sapere” è riconosciuto da molti quadri etici. Offrire vantaggi condizionati alla consapevolezza genetica mina l’autonomia individuale.
Nel gennaio 2025, un attacco informatico in Israele ha esposto i profili genetici di oltre due milioni di utenti, generando sfiducia pubblica e chiamate a proteggere i dati biometrici come diritto fondamentale.
Esistono alternative. Gli esperti suggeriscono che, se proprio devono esistere incentivi genetici, questi devono essere regolati da protocolli etici severi e trasparenti. Alcuni propongono lotterie cieche, dove il DNA viene analizzato solo dopo la selezione casuale.
Altri invocano una moratoria globale fino all’adozione di quadri normativi universali. L’UNESCO e il Comitato di Bioetica dell’OMS stanno lavorando su modelli condivisi tra culture e ordinamenti giuridici diversi.
I modelli di beneficio comunitario appaiono i più promettenti: il valore della ricerca genetica restituito alla comunità locale—tramite sanità, educazione o infrastrutture—anziché ai singoli partecipanti. Questo promuove l’equità e la salute pubblica.
È fondamentale sensibilizzare il pubblico. Mentre la scienza avanza più rapidamente della legislazione, le persone devono poter contribuire al dibattito. L’educazione bioetica nelle scuole e università può formare una generazione capace di riflettere su DNA, identità e giustizia.
Servono spazi per il confronto: panel cittadini, forum aperti, think tank interdisciplinari. Le decisioni etiche non spettano solo a scienziati o politici: devono coinvolgere sociologi, attivisti per i diritti e comunità marginalizzate.
In definitiva, la giustizia nell’era della genomica dipende dalla nostra capacità di andare oltre la doppia elica—valorizzando contesto, coscienza e complessità, più che algoritmi e calcoli genetici.